Ultimo aggiornamento 1 Aprile, 2019, 00:01:07 di Maurizio Barra
CRONACA
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CRONACA
Cade ultraleggero, muore ex campione mtb e slittino
Il velivolo è precipitato vicino alle piste da sci di Torgnon
AOSTA31 marzo 2019 16:23
L’ex campione di slittino e mountain bike Corrado Herin, valdostano di 52 anni, è morto in un incidente aereo avvenuto a Torgnon, in Valle d’Aosta. Il velivolo, un Piper, è precipitato in località Chantorné, nei pressi delle piste da sci. Assieme ad Herin è rimasto coinvolta un’altra persona che ha riportato gravi ferite. Corrado Herin in carriera aveva vinto due medaglie d’oro ai Mondiali di slittino su pista naturale nel doppio nel 1986 e nel 1992 (oltre a due medaglie di argento nel singolo e nel doppio nel 1990). All’inizio degli anni ’90 era passato alla mountain bike, specialità downhill, vincendo una medaglia di bronzo ai campionati del mondo di Vail nel 1994 ela coppa del mondo del 1997. Dopo essersi ritirato dalle competizioni è stato per alcuni anni direttore tecnico della nazionale italiana di downhill e four-cross.
Schiacciato da stand Salone del MobileProbabili lesioni alla colonna, colleghi riusciti a fuggire
MILANO31 marzo 201917:01
– Un operaio di 45 anni, romeno, è rimasto ferito gravemente in un infortunio sul lavoro accaduto nel pomeriggio alla Fiera di Rho-Pero, mentre stava allestendo uno stand per il salone del Mobile. A quanto è stato ricostruito dagli agenti della Polizia, l’uomo è rimasto schiacciato dai componenti di una struttura che stava allestendo con alcuni suoi colleghi e che è crollata. E’ ricoverato in gravi condizioni all’ospedale Nigiarda con probabili lesioni alla colonna vertebrale. I suoi colleghi sono riusciti a fuggire in quanto avevano sentito che la struttura scricchiolava. Sul posto anche i vigili del fuoco, gli agenti del Commissariato di Rho mentre è stata avvertita anche la Procura della Repubblica del capoluogo lombardo.
Prima litigano poi si sparano, due mortiDuplice omicidio nel Beneventano, forse motivi passionali
BENEVENTO31 marzo 201918:39
– Si sarebbero uccisi a vicenda al culmine di una lite sfociata in una sparatoria , avvenuta questo pomeriggio a Durazzano, in provincia di Benevento. Il duplice omicidio si è consumato in piazza Galilei nel centro del paese.
Secondo quanto si apprende, le due vittime si sarebbero colpite a vicenda, pare per motivi passionali. Sul posto sono accorsi i carabinieri.
Gb: 4 accoltellati in strada a Londra, è caccia all’uomoIl sospettato è un nero di oltre 1,90 m di corporatura snella
31 marzo 201919:11
– Nell’arco di poche ore, un uomo ha accoltellato in strada quattro persone, apparentemente a caso, e poi si è dileguato. Ed ora è caccia all’uomo, nella parte nord di Londra, dove le aggressioni sono avvenute.
Come riferisce il Telegraph online, tutto è iniziato ieri nel tardo pomeriggio, ad Aberdeen Road, Edmonton, dove una donna di 45 anni è stata pugnalata alla schiena. Rapidamente è stata ricoverata in ospedale e le sue condizioni vengono giudicate critiche. Quattro ore dopo, un uomo è stato attaccato allo stesso modo, e probabilmente dalla stessa persona, a Park Avenue. Secondo quanto risulta non è in pericolo di vita. La terza aggressione è avvenuta poco prima delle quattro del mattino alla stazione della metro di Seven Sisters e la vittima è un ragazzo di 23 anni, a sua volta ricoverato in condizioni critiche. L’ultimo attacco è avvenuto ai danni di un uomo, stamane verso le 9.30, a Brettenham Road. La polizia dice che le ferite che gli sono state inferte non sono letali, ma potrebbero avere conseguenze in grado di cambiare la sua vita.
Secondo quanto ha riferito la polizia, il ricercato è un uomo di colore alto oltre un metro e novanta, di corporatura snella, indossa abiti scuri, probabilmente ha una giacca con cappuccio.
Donna uccisa in casa a NuoroFerito un uomo. L’assassino forse l’ex marito
NUORO31 marzo 201919:36
– Una donna è stata uccisa e un uomo ferito in casa questo pomeriggio a Nuoro, in via Napoli. Secondo le prime informazioni, l’autore del delitto sarebbe l’ex marito della vittima mentre il ferito sarebbe l’attuale compagno della donna. Quando i medici del 118 sono giunti sul posto la donna era già morta. Il ferito, invece, è stato trasportato d’urgenza all’ospedale San Francesco di Nuoro. Sull’omicidio indagano i carabinieri della Compagnia di Nuoro.
Donna uccisa in casa a Nuoro, assassino forse ex marito
NUORO31 marzo 201920:56
Si chiama Ettore Sini, 49 anni originario di Bono (Sassari), l’agente della Polizia penitenziaria ricercato da Carabinieri e Polizia con l’accusa di aver ucciso l’ex moglie, Romina Meloni, 49 anni, e di aver ferito l’attuale compagno della vittima, Gabriele Fois, anche lui di 49 anni, ricoverato in gravissime condizioni nel Reparto di Rianimazione dell’ospedale San Francesco di Nuoro. Carabinieri e Polizia stanno dando la caccia al presunto assassino in tutta la provincia.
Due morti, vittime di un agguatoIn azione terza persona, ha esploso diversi colpi arma da fuoco
BENEVENTO31 marzo 201919:38
– Le due persone uccise nel pomeriggio a Durazzano (Benevento) sono state vittime di un agguato – non di stampo camorristico – da parte di una terza persona che ha esploso diversi colpi d’arma da fuoco.
Contrariamente a quanto ricostruito in un primo momento, non si è quindi trattato di un duplice omicidio scoppiato nel corso di una lite tra i due. Sul posto sono al lavoro i carabinieri che stanno effettuando le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Benevento, retta da Aldo Policastro.
Due morti nel Beneventano, vittime di un agguatoForse delitto per lite avvenuta 1 anno fa per incidente stradale
31 marzo 201920:36
Due persone sono state uccise a Durazzano (Benevento) in un agguato. Il killer sarebbe stato identificato dai carabinieri. Il presunto omicida è sotto interrogatorio nella caserma dei militari dove viene ascoltato dal sostituto procuratore della Repubblica di Benevento. Pare che alla base dell’agguato ci sia una lite avvenuta circa un anno fa in seguito ad un incidente stradale tra il presunto killer e il figlio di Mario Morgillo (68 anni) di Durazzano, ucciso oggi insieme al genero Andrea Romano (49 anni) di Arienzo (Caserta).
Cialente: “L’Aquila 2009, una lezione mancata per il Paese””In Italia nessuna prevenzione, solo emergenza. La città? E’ ferma”
L’AQUILA31 marzo 201923:39
Il terremoto dell’Aquila è stata “un’occasione persa” visto che in Italia, dove “abbiamo una grandissima Protezione civile, si continuano a spendere 3 miliardi l’anno per i danni dei terremoti ma non si investe nella prevenzione, che sarebbe un modello di sviluppo”: a dirlo,
in occasione del decennale del sisma, è Massimo Cialente, il ‘sindaco del terremoto’ che, insieme alla giornalista Antonella Calcagni ha scritto un libro dal titolo “L’Aquila 2009, una lezione mancata”, edito da Castelvecchi. Manca ancora una legge quadro sui terremoti, afferma l’ex sindaco, “che indichi cosa fare nell’emergenza e quando si passa alla fase successiva. Ed è poi indispensabile un’unica legge per la ricostruzione: nel 2017 si sono persi mesi per capire se ricostruire con la legge del 2009 o con la nuova”. In Italia non si individua cosa ha funzionato e cosa no, all’Aquila come nel Friuli, perché “non c’è la maturità politica – prosegue Cialente -. E poi il terremoto dell’Aquila è avvenuto in una fase di scontro assoluto: il governo e tutto ciò che era filogovernativo dicevano che qui tutto andava bene. Chi era contro Berlusconi diceva che tutto era sbagliato. Come quando le curve accecate dal tifo non guardano la partita”. Che ricordo ha Cialente del terremoto? “Ricordo lo sciame sismico durato mesi, i giorni di angoscia prima del terremoto. Poi il la scossa. Aprii la porta e vidi il centro: era un fungo atomico di polvere. Mia suocera dice che gridai ripetutamente: L’Aquila è finita”. Il momento più difficile di questi 10 anni, per l’ex primo cittadino, fu quando Berlusconi firmò un’ordinanza con la quale veniva trasferito a Pescara, Chieti, Teramo, Avezzano tutto ciò che non fossero uffici comunali e scuole: reparti ospedalieri, centri di ricerca ma anche il personale. La città sarebbe morta. Stavo chiamando gli aquilani alla rivolta: fu uno scontro durissimo con Berlusconi. Riuscii di notte a svegliare il premier, attraverso Gianni Letta, e a far cancellare l’ordinanza”. Il giorno più bello invece, racconta Cialente, “fu quando venne inaugurata la Fontana delle 99 Cannelle: l’acqua cominciò ad uscire, fu una musica e il primo segno che tornava qualcosa”.
L’Aquila, servono ancora 6 miliardi per la ricostruzioneAppello degli uffici ricostruzione, velocizzare intervento pubblico
L’AQUILA31 marzo 201921:12
Per la ricostruzione privata dell’Aquila e dei comuni dell’esteso cratere del terremoto occorrono complessivamente nuove risorse per 6 miliardi di euro: la stima, nel decennale del sisma del 6 aprile 2009, viene dai responsabili dei due uffici speciali, per la ricostruzione dell’Aquila (Usra), Antonio Provenzano, e dei comuni del cratere (Usrc), Raffaello Fico, due giovani tecnici da poco al timone dei due organismi. L’istanza, accompagnata dalla richiesta di snellimento burocratico per spendere i fondi già stanziati in scadenza nel 2020, è stata formulata al sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri con delega alla ricostruzione Vito Crimi.
In questo quadro si inserisce l’allarme del presidente dei costruttori provinciali, Adolfo Cicchetti, che in quello che è stato definito il cantiere più grande d’Europa, parla di “metodo L’Aquila che ha funzionato”, ma anche “di mille posti di lavoro persi lo scorso anno e di imprese in difficoltà”. In entrambi i crateri, il recupero delle abitazioni private è molto più avanti rispetto a quella pubblica che segna il passo, soprattutto per scuole ed edifici pubblici, nonostante ci siano fondi disponibili, non impegnati perché le stazioni appaltanti degli enti pubblici non pubblicano le gare: in questo senso i due responsabili fanno un appello alla velocizzazione.
All’Aquila la ricostruzione privata ha raggiunto il 75 per cento, con il centro storico che ha bisogno di un’accelerazione, come nelle frazioni. Nei 56 comuni del cratere e nei 100 al di fuori si è a metà dell’opera, mentre sono nettamente più basse le percentuali nei centri storici dei piccoli comuni, e ancora peggio nella ricostruzione pubblica. A Provenzano servono 2 miliardi più circa 800 milioni per la ricostruzione pubblica, a Fico circa 4 miliardi e 500 milioni per la pubblica. “Abbiamo bisogno di dare un colpo di reni perché la ricostruzione privata ha raggiunto livelli buoni, accettabili. Ma occorre arrivare fino in fondo. Vanno trovate nuove risorse, e poi occorrono procedure per spendere quelle disponibili, in tempi ottimali”, spiega Provenzano che ha un proiezione per il futuro: “Ritengo che la fine della istruttoria si concluderà nel 2021, mentre per la ricostruzione privata obiettivo fattibile è il 2023-2024”.
All’Aquila, cancellato il contributo di autonoma sistemazione, sono intorno a 4mila le famiglie che ancora vivono nel mega insediamento del progetto Case costruito a tempo di record dopo il sisma per dare un tetto a circa 20mila persone, o nei moduli abitativi provvisori; nei comuni del cratere sono 4.800 le famiglie che hanno una sistemazione provvisoria con 10.451 abitazioni ancora da recuperare e 4.604 in cui sono in corso lavori. Considerano gli 80mila sfollati iniziali l’emergenza abitativa non c’è più.
“Non è semplice fissare una data per la conclusione, ci sono fattori che non dipendono da noi. Faccio un esempio: ci sono 2 miliardi di euro di progetti da consegnare. Occorrerebbe stabilire un limite temporale per legge, per poi stabilire tempistiche. Comunque nel giro di 5-6 anni, se arriveranno tutti i progetti, la ricostruzione potrà dirsi conclusa al 90 per cento”, annuncia Fico. “Spesso – spiega ancora Cicchetti – nella ricostruzione, come nei cantieri, è la coda il momento più difficoltoso, perché cala l’attenzione, perché si pensa di essere in discesa. L’Aquila, basta farsi un giro, è una città che sta tornando a vivere con un sorriso splendido, ma manca qualche dente”, chiarisce il presidente dell’Ance provinciale.
Grande cantiere L’Aquila, le 2 anime della cittàRicostruzione simbolo Italia, ma a 10 anni ancora tanto da fare
L’AQUILA31 marzo 201922:01
Le due città vivono in simbiosi anche se in una esplode la vita e nell’altra la morte non è mai andata via. I nuovi palazzi accanto alle macerie di quelli venuti giù il 6 aprile 2009, le attività commerciali spuntate come funghi e le saracinesche chiuse, il rumore incessante dei martelli pneumatici e il silenzio dei vicoli del centro, il balletto delle gru e l’immobilità dei ricordi rimasti sepolti sotto le pietre. L’Aquila 10 anni dopo il terremoto è molto più del cantiere più grande d’Italia dove la polvere non si posa mai: è il simbolo stesso di un Paese che nelle tragedie dà il meglio di sé e che poi si perde nei mille rivoli della burocrazia, che convive con i disastri ma che non è mai stato capace di mettere la prevenzione al centro della sua politica.
L’Aquila è piena di altarini. Ce ne sono ovunque, sparsi per la città: accanto agli alberi, vicino ad un cumulo di pietre, sulle recinzioni che delimitano le zone ancora off limits. Come quello dedicato a Vasileios Koyfolias, un ragazzone greco che morì in via Campo di Fossa, a due passi dalla villa comunale: la bandiera bianco e azzurra è appoggiata ad un albero assieme alla sua foto e ad un lumino, davanti al palazzo che sta nascendo al posto di quello dove è morto. O come quello in via XX settembre, dove c’era la casa dello Studente. C’è uno striscione con i nomi dei ragazzi e una maglietta appesa alla recinzione metallica: “10 anni sempre nel nostro cuore”. Al posto dell’edificio c’è un grande buco con al centro due pilastri e un’architrave; sembra la porta d’Europa di Lampedusa, con l’unica differenza che quella è dedicata ai morti in mare e questa a quelli sepolti vivi dopo le scosse.
Ma L’Aquila è anche la forza della vita che ti colpisce imperiosa. La periferia è un brulicare di umanità che si sposta, produce, lavora, gioca, ha fiducia, combatte ogni giorno. Lo skyline della città è cambiato completamente, centri commerciali e nuovi palazzi hanno modificato per sempre il volto di queste zone. Certo, non è tutto oro quel che luccica: perché la ricostruzione, più quella pubblica che quella privata, è assai indietro e perché forse con tutti i miliardi arrivati – e sono tanti – si poteva fare di più e meglio. Basta camminare in centro storico per accorgersene. Dove accanto ai palazzi ristrutturati e alle chiese riaperte è pieno di vicoli fermi a dieci anni fa, con i materassi sopra le pietre crollate. Dove accanto alla decina di negozi che hanno riaperto sulla via dello struscio, il corso Vittorio Emanuele, ci sono decine di cartelli ‘affittasi’ su locali inesorabilmente vuoti. Ma se parli con la gente non ti dice solo questo.
Giuseppe Palumbo è dietro il bancone della sua macelleria in via Garibaldi ed è stato tra i primi a riaprire nel centro storico, l’8 luglio del 2010. “Altri dieci anni non bastano, prima del 2030 non saremo pronti. Abbiamo sofferto, è stata ed è dura, ci vuole molto sacrificio. Ma non mi lamento e non ho mai accettato di chiudere, anche perché questo è l’unico reddito di tutta la famiglia, che dovevo fare? E poi dobbiamo dirlo. Qui, soprattutto nel periodo dell’emergenza, hanno fatto i miracoli, non riconoscerlo sarebbe ingiusto”.
In via Sassa, dieci metri dietro piazza Duomo, Klaurant Beydollari è in pausa pranzo. Fa il muratore, è albanese, ha sposato un’aquilana vent’anni fa e non è più andato via. Sono anni che lavora tra la polvere del centro storico, sa quanto sia difficile ricostruire una città. Questa città. “E’ un lavoro enorme, non è mica che puoi buttare già una città del 1200. Per ogni edificio devi togliere l’intonaco vecchio e fare dei buchi profondi 10 centimetri; poi devi fare le iniezioni di una malta speciale per rinforzare la struttura, mettere i tiranti con le piastre e alla fine ritirare su l’intonaco a retina. Ci vuole il tempo suo, per ricostruire. E poi qui d’inverno fa freddo. Sai cosa succede quando fa -3? Che non puoi fare la calce, perché non amalgama. E sai quanti sono i giorni che fa freddo qui?”.
Le palazzine del progetto ‘Case’, le new town di Berlusconi, sono tutte ancora al loro posto. Alcune evacuate già da tempo, perché l’assenza di manutenzione ha fatto crollare balconi e saltare tubature, come quelle di Cese di Preturo; alcune ancora perfettamente abitabili e abitate, come quelle di Bazzano. Olga Zabolotnii sta sistemando il suo giardinetto assieme ai figli.
“A me non è mancato molto – dice – certo, c’è la manutenzione da fare, ma molto dipende anche da noi abitanti e da come teniamo le aree in comune. E poi per ricostruire ci vorrà ancora molto tempo, meno male che abbiamo avuto queste case”.
Lo stesso pensiero dei sopravvissuti di Onna, 40 morti su 350 abitanti quella notte, un’ecatombe. Le case di legno costruite dai trentini ancora reggono bene, ma il paese è come lo trovarono i pompieri la mattina del 6 aprile: raso al suolo.
Carlo, 74 anni, zappa il suo orticello tra le macerie. “Come va? Deve andare per forza, non abbiamo alternative. Non ci hanno abbandonato, anche se pensavamo che con quello che ci era capitato si sarebbe fatto prima”. A cinquanta metri dall’orto la prima nuova palazzina del paese è quasi ultimata, a luglio entreranno le prime famiglie. E’ attaccata a quel che resta di un’abitazione crollata 10 anni fa, una scala che porta in cielo. Vita e morte, ancora insieme.
Corteo a Firenze per ricordare OrsettiCirca 2000 persone sfilano per le strade del suo quartiere
FIRENZE31 marzo 201922:01
– Lungo corteo, circa 2000 persone, nel pomeriggio a Firenze, da piazza Leopoldo e alla Fortezza da Basso, per ricordare Lorenzo Orsetti, il 33enne fiorentino andato a combattere a fianco del popolo curdo e morto in Siria durante una controffensiva dell’Isis. In testa al corteo, dietro lo striscione con la sua foto e le sue parole (‘Ogni tempesta inizia con una singola goccia. Cercate di essere voi quella goccia’), i genitori di ‘Orso’ con a fianco gli amici e alcuni dei rappresentati dei curdi in Toscana che avevano organizzato la manifestazione. Tante le foto del 33enne su striscioni e bandiere con i colori delle milizie dell’Ypg, ma anche dei partiti della sinistra, dei Cobas e degli anarchici, che hanno sfilato lungo le strade del quartiere che il 33enne aveva lasciato per andare, come si leggeva in uno dei cartelli, a fare “il partigiano di oggi”. Alla Fortezza il padre Alessandro e la mamma Annalisa hanno salutato e ringraziato tutti i presenti, soprattutto i tanti arrivati anche da fuori Firenze.
Ucciso in riva a Po, confessa un giovaneSi è presentato poche ore dopo la marcia che chiedeva la verità
TORINO31 marzo 201923:13
– Svolta nelle indagini sull’omicidio di Stefano Leo, il giovane ucciso lo scorso 23 febbraio in riva al Po, a Torino, nella zona dei Murazzi. In queste ore, gli inquirenti stanno valutando di procedere al fermo di indiziato di delitto di un 27enne italiano di origini marocchine con piccoli precedenti penali. I carabinieri e i magistrati titolari delle indagini hanno trovato i primi riscontri alle confessioni del fermato, tra cui la presunta arma del delitto. A poche ore dalla marcia organizzata dal padre di Stefano Leo e dagli amici per chiedere di far luce sulla sua morte, il 27enne si è presentato spontaneamente in Questura, che ha subito avvisato i carabinieri del Comando provinciale, titolari dell’inchiesta.
Condotto dai militari dell’Arma presso gli uffici del Comando Provinciale di Via Valfrè, l’uomo è stato interrogato alla presenza del suo difensore di fiducia. Le indagini proseguono per la raccolta di ulteriori riscontri al delitto, anche ai fini di chiarirne il movente. –
Papa, chi fa i muri ne resta prigioniero
‘Invece quelli che fanno ponti andranno avanti’
AEREO PAPALE31 marzo 201923:50
– “Sentiamo dolore quando vediamo le persone che preferiscono costruire dei muri. Perché abbiamo dolore? Perché coloro che costruiscono i muri finiranno prigionieri dei muri che hanno costruito. Invece quelli che costruiscono ponti, andranno tanto avanti”. Così il Papa durante il volo che lo ha riportato da Rabat, al termine del viaggio in Marocco. “Costruire ponti per me è una cosa che va quasi oltre l’umano, ci vuole uno sforzo molto grande. Mi ha sempre toccato tanto una frase del romanzo di Ivo Andric, ‘Il ponte sulla Drina’: dice che il ponte è fatto da Dio con le ali degli angeli perché gli uomini comunichino”.
Il Papa: dalle paure nascono le dittature
31 marzo 201923:19
“Vedo che tanta gente di buona volontà, non solo cattolici, ma gente buona, di buona volontà è un po’ presa dalla paura che è la predica usuale dei populismi, la paura. Si semina paura e poi si prendono delle decisioni. La paura è l’inizio delle dittature”. Lo ha detto papa Francesco rispondendo ai giornalisti sul volo di ritorno da Rabat. “Andiamo al secolo scorso, alla caduta di Weimer, questo lo ripeto tanto – ha proseguito Francesco -. La Germania aveva necessità di una uscita e, con promesse e paure è andato avanti Hitler, conosciamo il risultato, conosciamo il risultato. Impariamo dalla storia, questo non è nuovo: seminare paura è fare una raccolta di crudeltà, di chiusure e anche di sterilità”. “Pensate all’inverno demografico dell’Europa – ha aggiunto -. Anche noi che abitiamo in Italia sotto zero. Pensate alla mancanza di memoria storica: l’Europa è stata fatta da migrazioni e questa è la sua ricchezza. Pesiamo alla generosità di tanti paesi, che oggi bussano alla porta dell’Europa, con i migranti europei dall’84 in su, i due dopoguerra, in massa, America del nord, America centrale, America del sud”. “Mio papà è andato lì nel dopoguerra in accoglienza – ha raccontato -. Un po’ di gratitudine… È vero, per essere comprensivi, che il primo lavoro che dobbiamo fare è cercare che le persone che migrano per la guerra o per la fame non abbiano questa necessità”.
“Se l’Europa così generosa vende le armi allo Yemen per ammazzare dei bambini come fa l’Europa a essere coerente – ha detto ancora -. E dico questo è un esempio, ma l’Europa vende delle armi. Poi c’è il problema della fame, della sete. L’Europa, se vuole essere la madre Europa e non la nonna Europa deve investire, deve cercare intelligentemente di aiutare ad alzare con l’educazione, con gli investimenti e questo non è mio, lo ha detto il cancelliere Merkel. È una cosa che lei porta avanti abbastanza: impedire l’emigrazione non con la forza ma con la generosità, gli investimenti educativi, economici, ecc. e questo è molto importante”. “Secondo, su come agire – ha aggiunto -, è vero che un Paese non può ricevere tutti, ma c’è tutta l’Europa per distribuire i migranti, c’è tutta l’Europa. Perché l’accoglienza deve essere con il cuore aperto, poi accompagnare, promuovere e integrare. Se un Paese non può integrare deve pensare subito di parlare con altri paesi: tu quanto puoi integrare, per dare una vita degna alla gente”. “Io di politica italiana Non capisco”. Così il Papa, sul volo di ritorno da Rabat, ha risposto alla domanda su cosa pensasse della frase del ministro dell’Interno Salvini secondo cui più che della famiglia, bisogna avere paura dell’Islam. “Avevo letto del ‘Family day’. Non so cosa sia, davvero, so che è uno dei tanti ‘day’ che si fanno. So anche che ho letto la lettera del cardinale Parolin e sono d’accordo, pastorale, di buona educazione. Ma di politica italiana non domandatemi, non capisco”, ha aggiunto Francesco.
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